mercoledì 22 gennaio 2020

Poesia, narrazione, filosofia: ossia creare, innovare, conservare

Io mi sento erede della grande tradizione che unisce in un'immaginaria curva ideale pensatori quali Giordano Bruno a filosofi quali Nietzsche. Da un lato c’è la “specializzazione” accademica che impone agli studiosi di tracciare i confini delle loro competenze, confini che stanno là a ricordare che non bisogna invadere le altrui competenze. D’altro, c’è la buona "creanza" di insegnare che per riuscire in qualcosa bisogna dedicarsi a un solo ed esclusivo obiettivo nella vita: diventare narratore, poeta o filosofo. L’una è figlia dell’altra.

Ebbene, per la mia forma mentis, non ho rispettato né l’una né l’altra buona creanza. Ecco, da questo punto di vista, non sono mai stato uno “accorto”. Per me, l’essere, o meglio, il divenire dell'essere è un prisma dalle infinite sfaccettature. Volerlo ridurre a una sola ed esclusiva sfaccettatura vuol dire (a mio parere) voler sminuire e ridimensionare il proprio estro creativo. Non sono uno "accorto" perché alla fine, seguendo la mia indole, potrei correre il rischio di riuscire ad essere un pessimo poeta, un mediocre narratore, un filosofo superficiale. Sinceramente, se questo dovesse essere il risultato finale, sono consapevole che non poteva andare diversamente. Non potevo, voglio dire, andare contro le mie inclinazioni più intime. Non sarei mai riuscito a specializzarmi in un settore della conoscenza, non sarei mai riuscito a diventare soltanto un poeta o un narratore. E anche se lo avessi voluto, lottando contro le mie profonde inclinazioni, sono sicuro che alla fine sarei diventato davvero o un mediocre filosofo o un pessimo poeta. Lo sarei diventato perché avrei fatto prevalere i miei “interessi” materiali contro i miei interessi “spirituali”. Sarei stato un uomo accorto, che sa calcolare i costi e i benefici di una scelta vitale a detrimento del mio essere autentico. E, in ragione di questo calcolo, avrei cominciato a scrivere calcolando cosa piace al pubblico, cosa apprezza il pubblico, cosa s'aspetta il pubblico. Di calcolo in calcolo mi sarei trasformato in un ragioniere del sapere, in uno che sa amministrare il poco che sa produrre e da cui sa ricavarci qualcosa.

Invece, ho sempre concepito l’arte e la filosofia come attività complementari: l’una serve ad incrementare l’altra. La poesia è il luogo del linguaggio ambiguo ed allusivo. L’allusività e ambiguità sono caratteristiche imprescindibili della poesia, in quanto componenti essenziali della stessa comunicazione umana. Tali componenti nella poesia risaltano all’ennesima potenza. La poesia, in senso lato, cioè ogni attività estetica, è all’origine di ogni cultura umana. È l’arte che dà, attraverso l’invenzione delle sue metafore, senso, forza e vitalità all’attività umana. Ed è alla base della cultura in quanto l’allusività e ambiguità danno origine ai legami umani. Ma la potenza allusiva del linguaggio deve possedere anche la capacità di essere modificata e variata, adattandola ad ogni circostanza. La variabilità del linguaggio allusivo potenzia la capacità predittiva dell’essere umano. La narrativa trova la sua ragion d’essere in questa capacità.
La narrativa (sempre in senso lato) segue un processo sequenziale in cui gli eventi narrati vengono posti in un ordine logico e consequenziale, nel quale a un “prima” segue un “dopo” creando dei legami o dei connettivi che aiutano la mente a ragionare e a prevedere. In questo ordine consequenziale assistiamo a una riduzione dell’ambiguità del linguaggio, tipico della poesia, ma non a una sua eliminazione completa. Infine, arriva la filosofia o il pensiero concettuale che tende a stabilizzare il linguaggio, a imporre, con il rigore della sua logica, un ordine concettuale, a ridurre sia la allusività del linguaggio che la sua capacità di poterlo variare. Il pensiero filosofico tende a solidificare le metafore poetiche, a trasformarle in concetti “chiari” ed “evidenti”. Ma a scompaginare i sogni metafisici del filosofo interviene di nuovo l’attività poetica, che sveglia il filosofo dal suo bisogno profondo di dare ordine al mondo, rimettendo in gioco tutte le certezze che aveva fissato come verità. Quindi, tra il poetare, il narrare, il filosofare esiste un rapporto circolare, sono cioè tre attività dell’operare umano, e sono tre attività alla base della cultura in senso lato. Lo sono nello stesso senso in cui lo sono l’inventare, l’innovare e il conservare al fine di tramandare: la poesia inventa, la narrativa innova, la filosofia conserva e tramanda… 
Perciò Giordano Bruno e Nietzsche sono allo stesso tempo degli inventori o creatori di linguaggi e metafore, dei grandi innovatori ma anche dei "profondi" conservatori.

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