«Pip. Cos’è che vola? Rondine? Pipistrello probabilmente».
E così mi ritrovo d’un tratto a camminare, una sera d’estate, sulla riva del mare ad ascoltare quel suono onomatopeico. Da qui non sento i clangori delle spade dalle lame scintillanti che stridono e che sfrigolano. Addio Lancillotto. Addio Ettore. Addio pio Enea. La vita poetica come ricapitolazione (l'ennesima) della vita della poesia. «Il mondo deve diventare favola», scrisse un giorno Novalis. «Il mondo vero è diventato favola», rispose Nietzsche.
E così mi ritrovo d’un tratto a camminare, una sera d’estate, sulla riva del mare ad ascoltare quel suono onomatopeico. Da qui non sento i clangori delle spade dalle lame scintillanti che stridono e che sfrigolano. Addio Lancillotto. Addio Ettore. Addio pio Enea. La vita poetica come ricapitolazione (l'ennesima) della vita della poesia. «Il mondo deve diventare favola», scrisse un giorno Novalis. «Il mondo vero è diventato favola», rispose Nietzsche.
Non so dire quando m’apparve per la prima volta questa idea. Forse quella volta quando avvolto in uno stretto cappottino girovagavo solitario per le strade deserte del mio paese. O forse l’ho trovata in un libro spaginato in mezzo alla spazzatura. Tra quei caratteri, arsi dal sole e sporchi di quella pioggia autunnale, il mondo m’apparve all’improvviso bello perché una volpe mi parlava. Anch’io avrei voluto, quel giorno, come Esenin, «pisciare contro il disco della luna», rubare «in casa un po’ di pane» e mangiare «come due fratelli, / una briciola all’uomo e una al cane».
Ho abitato in un mondo dove tante strane creature con un movimento di ombre facevano vibrare il mio animo di paura. Eppure non m’importava sapere che quel lugubre cigolio che sentivo nel cuore della notte era solo un lampione vecchio che con mano carezzevole una brezza faceva oscillare nel vuoto… Mentre ascoltavo i primi balbettii, bastava mettermi in sintonia con l'ululare del vento e ammirare la luce ferma del mattino: «L’immaginazione è venuta al mondo spontaneamente e per prima. La ragione forse per ultima» ha lasciato scritto Novalis in un frammento. Ammiravo la luna dai capelli d'argento piangere dietro una montagna, ed io vivevo sotto quel manto terso, dove all'improvviso lampi misteriosi squarciavano il buio della notte. Bastava solo questo sentire al mio sentire per sentire scoccare una scintilla nel mio animo. «Distruggere, scompaginare, e con ironia rimettere insieme», diceva Nietzsche a proposito della poesia.
Ascoltavo quelle voci per lasciarmi trasportare in un'altra dimensione. Eppure, in quella intrasparenza di cose terrene sembrava che l'abisso dentro il quale il mondo precipitasse ad ogni istante scomparisse dietro quelle barriere ignote fatte di ansia e di paura: «Benvenuta, o vita! Vado per la milionesima volta ad incontrare la realtà dell’esperienza e a foggiare nella fucina della mia anima la coscienza increata della mia razza» (James Joyce, Ritratto dell’artista da giovane). Ed è così che mi ritrovai ad ascoltare quel “Pip” una sera d’estate sulle spiagge d’Irlanda insieme a un omino: Mr Leopold Bloom.
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