giovedì 2 febbraio 2012

Erving Goffman, l'etologia dell'interazione, l'etoanalisi, ordine sociale,



Ne’ L’approccio di Goffman all’interazione faccia a faccia (chi ha tempo e voglia può facilmente reperirlo in Internet), Adam Kendon scrive che Erving Goffman tentava di fare dell’ordine dell’interazione «un campo di studio a sé». Secondo Kendon, ne’ Il comportamento pubblico c’è il chiaro tentativo «di giustificare lo studio dell’interazione come una branca della sociologia indipendente».
Ne’ Il rituale dell’interazione, Goffman scrive: «Io parto dal presupposto che l’oggetto dello studio dell’interazione non debba essere l’individuo, ma piuttosto le relazioni sintattiche esistenti tra gli atti di persone che vengono a trovarsi a contatto diretto».
Nelle Relazioni in pubblico Goffman nota che alcuni studiosi, in particolare alcuni linguisti ed etologi, sono impegnati in un’impresa parallela alla sua, e suggerisce di chiamare quest’area “Etologia dell’interazione”.
Sino alla fine della sua carriera, scrive Kendon, Goffman dà l’impressione di tentare di stabilire qualcosa di completamente nuovo. Ne’ L’ordine sociale (1998), uno dei suoi ultimi scritti, discute ancora del posto che l’ordine dell’interazione occupa nella sociologia. Insomma, chi ha avuto modo di leggere alcuni miei scritti ispirati a questo tema, potrà trovare molteplici affinità tra il progetto di Goffman di tracciare un nuovo campo di analisi e la mia Etoanalisi.
Tuttavia, al di là delle evidenti affinità, dovute anche e soprattutto al fatto di aver utilizzate comuni fonti di pensiero (Simmel, Mead, Bateson), rilevo che esistono delle divergenze fondamentali tra i due approcci all’interazione, che potrei sintetizzare in quattro o cinque punti:
In primo luogo, noto un’assenza descrittiva degli ambiti interazionali, vale a dire mancano la definizione dei limiti della relazione che segnano il dominio entro il quale gli agenti possano interagire. Se non vengono tracciati dei limiti all’interno di ciascuna relazione tali da essere riconoscibili dagli stessi agenti che vi partecipano, non è possibile neanche osservare (come osservatore esterno all’interazione) che tipo di interazione è in corso tra i due agenti, e quindi non è possibile neanche stabilire come una qualsiasi relazione possa nel tempo essere modificata sino a far emergere relazioni nuove rispetto alle precedenti.
In secondo luogo, noto un’assenza sulla modalità in cui il “potere” si distribuisce all’interno di ciascuna relazione. È assente una differenziazione del piano delle “aspettative sociali” e quello della specifica “modalità interattiva”: mentre nel primo ad “agire” è la pressione sociale, nella seconda, invece, è la “pressione del Sé”. Fin quando si interagisce sotto la pressione sociale è possibile mantenere un certo distacco. Invece, quando si esercita una qualsiasi pressione “personale” il coinvolgimento del Sé diventa inevitabile.
Nell’etoanalisi, il modo in cui il potere si distribuisce all’interno di una relazione è un punto centrale quando si vogliono comprendere le dinamiche interazionali tra gli agenti. Non può essere un elemento trascurabile se si vuole effettivamente comprendere le dinamiche del comportamento interattivo. Il tema del potere è legato all’affermazione del sé su quello altrui. A questo punto si comprende come anche lo stesso “Sé” non possa essere inteso come un’entità “mentalistica”, come un qualcosa di cui si ha coscienza a livello mentale o percettivo. Il Sé non può essere confuso con il concetto di coscienza o con il grado di consapevolezza.
Il si definisce soltanto in rapporto all’altro, altrimenti rischia di essere confinato nell’ambito della coscienza. Se nell’interpretazione del Sé viene a mancare la relazione con l’altro, non vedo alcuna differenza tra il Sé e il concetto di autocoscienza. Per concludere potrei scrivere che: la definizione di relazione, di ambito interattivo, di potere, di affermazione del Sé, la definizione del Sé, nonché il concetto di pressione esercitata sul Sé, ecc, sono i capisaldi che stanno alla base dell’Etoanalisi. Senza questa costellazione di concetti è impossibile arrivare a tracciare una disciplina che sia completamente autonoma ed autosufficiente.

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