Ne’ L’approccio di
Goffman all’interazione faccia a faccia (chi ha tempo e voglia può
facilmente reperirlo in Internet), Adam Kendon scrive che Erving Goffman
tentava di fare dell’ordine dell’interazione «un campo di studio a sé». Secondo
Kendon, ne’ Il comportamento pubblico
c’è il chiaro tentativo «di giustificare lo studio dell’interazione come una
branca della sociologia indipendente».
Ne’ Il rituale dell’interazione,
Goffman scrive: «Io parto dal presupposto che l’oggetto dello studio dell’interazione
non debba essere l’individuo, ma piuttosto le relazioni sintattiche esistenti
tra gli atti di persone che vengono a trovarsi a contatto diretto».
Nelle Relazioni in
pubblico Goffman nota che alcuni studiosi, in particolare alcuni linguisti
ed etologi, sono impegnati in un’impresa parallela alla sua, e suggerisce di
chiamare quest’area “Etologia dell’interazione”.
Sino alla fine della sua carriera, scrive Kendon, Goffman
dà l’impressione di tentare di stabilire qualcosa di completamente nuovo. Ne’ L’ordine sociale (1998), uno dei suoi
ultimi scritti, discute ancora del posto che l’ordine dell’interazione occupa
nella sociologia. Insomma, chi ha avuto modo di leggere alcuni miei scritti
ispirati a questo tema, potrà trovare molteplici affinità tra il progetto di
Goffman di tracciare un nuovo campo di analisi e la mia Etoanalisi.
Tuttavia, al di là delle evidenti affinità, dovute anche e
soprattutto al fatto di aver utilizzate comuni fonti di pensiero (Simmel, Mead, Bateson), rilevo
che esistono delle divergenze fondamentali tra i due approcci all’interazione,
che potrei sintetizzare in quattro o cinque punti:
In primo luogo, noto un’assenza descrittiva degli ambiti
interazionali, vale a dire mancano la definizione dei limiti della relazione
che segnano il dominio entro il quale gli agenti possano interagire. Se non
vengono tracciati dei limiti all’interno di ciascuna relazione tali da essere
riconoscibili dagli stessi agenti che vi partecipano, non è possibile neanche osservare
(come osservatore esterno all’interazione) che tipo di interazione è in corso
tra i due agenti, e quindi non è possibile neanche stabilire come una qualsiasi
relazione possa nel tempo essere modificata sino a far emergere relazioni
nuove rispetto alle precedenti.
In secondo luogo, noto un’assenza sulla modalità in cui il
“potere” si distribuisce all’interno di ciascuna relazione. È assente una
differenziazione del piano delle “aspettative sociali” e quello della specifica
“modalità interattiva”: mentre nel primo ad “agire” è la pressione sociale,
nella seconda, invece, è la “pressione del Sé”. Fin quando si interagisce sotto
la pressione sociale è possibile mantenere un certo distacco. Invece, quando si
esercita una qualsiasi pressione “personale” il coinvolgimento del Sé diventa
inevitabile.
Nell’etoanalisi, il modo in cui il potere si distribuisce all’interno
di una relazione è un punto centrale quando si vogliono comprendere le
dinamiche interazionali tra gli agenti. Non può essere un elemento trascurabile
se si vuole effettivamente comprendere le dinamiche del comportamento
interattivo. Il tema del potere è legato all’affermazione del sé su quello
altrui. A questo punto si comprende come anche lo stesso “Sé” non possa essere
inteso come un’entità “mentalistica”, come un qualcosa di cui si ha coscienza a
livello mentale o percettivo. Il Sé non può essere confuso con il concetto di
coscienza o con il grado di consapevolezza.
Il Sé si definisce soltanto
in rapporto all’altro, altrimenti rischia di essere confinato nell’ambito della
coscienza. Se nell’interpretazione del Sé viene a mancare la relazione con l’altro,
non vedo alcuna differenza tra il Sé e il concetto di autocoscienza. Per
concludere potrei scrivere che: la definizione di relazione, di ambito
interattivo, di potere, di affermazione del Sé, la definizione del Sé, nonché
il concetto di pressione esercitata sul Sé, ecc, sono i capisaldi che stanno
alla base dell’Etoanalisi. Senza questa costellazione di concetti è impossibile
arrivare a tracciare una disciplina che sia completamente autonoma ed
autosufficiente.
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