Aggiungi didascalia |
Autore di nicchia, autore che nicchia; autore pigro.
Sapete quanti dattiloscritti miei ho mandato in giro a inondare le piccole e medie case editrici per sollecitare una qualche minima pubblicazione? Neanche uno, neanche l’ombra di una pagina. La mia opera è capace di riempire lo scaffale di una libreria. Avrei anche potuto fare, se la avessi pubblicata con una piccola casa editrice, la mia e la sua “fortuna”. Sono un autore prolifico, pigro, ma prolifico. Ho tanti racconti e saggi al mio attivo, perché mi piace scrivere e pensare, pensare e scrivere, ma non mi piace scrivere per il “pubblico”, ma soltanto per coloro che hanno voglia di leggere ciò che scrivo. Non m’importa conoscere quale sia il loro numero. Se sono dieci, venti o cento. Come lavoro faccio un “mestiere” che mi dà tantissime soddisfazioni: insegno. Perciò non ho bisogno di guadagnare per scrivere. In ogni caso, figuriamoci se si riuscisse a trovare qualche piccola casa editrice disposta a pubblicare un romanzo che dichiara di non essere un romanzo e che per giunta ha nel titolo la parola “inquietudine”! Oppure una raccolta di “racconti brevi” che si propongono di ledere le strutture metafisiche della narrativa.
È vero, se non infastidisco nessuna casa editrice con le mie richieste è perché sono pigro, ma anche perché sono abbastanza “obiettivo” tanto almeno da riconoscere che con la editoria non ho granché da condividere. Prendiamo in esame la cosiddetta “sinossi”: e che sinossi scrivo se i miei racconti non hanno alcuna trama? Se non c’è un intreccio, che scrivo nella sinossi? Che ho inventato il personaggio-trama? Che i miei racconti sono delle frasi-macchia? Vedete, della scrittura io ho una concezione tutta mia. Sarà anche una concezione “strampalata”, “bislacca”, “anacronistica” o “marginale”, ma è e resta la mia personale visione della scrittura. Per me la scrittura è una vera e propria avventura, non è “la scrittura di un’avventura”, ma è un’avventura essa stessa, per citare la celebre formula di Jean Ricardou, un avventurarsi verso mondi ignoti e sconosciuti. La mia scrittura non ha nulla da raccontare, perché è essa stessa un racconto, e raccontando sé stessa, non innesca nessun processo di identificazione con i suoi personaggi o con ciò che narra. Non ha cioè una storia da offrire, una fabula, come si usa a livello narratologico. Ciò che bisogna seguire è soltanto come essa si sviluppa, si avvolge, si snoda, quale direzione prende all’improvviso. Piace non piace? Diverte, annoia? Certamente fa riflettere, e per me è l’aspetto significativo.
Nessun commento:
Posta un commento