«La mia vera casa è il palcoscenico, là so esattamente
come muovermi, cosa fare: nella vita sono uno sfollato». Così Eduardo De
Filippo compendiava il senso della sua esistenza.
Sostituendo al termine “palcoscenico”, la parola “libro”, di me potrei dire altrettanto. Sì, è così, è proprio così: soltanto nella dimora di un libro ritrovo la mia dimensione, il mio "spazio domestico", il luogo deputato alla mia esistenza. La mia piacevole e assoluta solitudine. Perché nel libro il mio io si scioglie, e si confonde negli accenti, in quello "spazio domestico" il mio io si perde e perde le sue coordinate, la sua bussola, le sue certezze, la sua compiuta forma e subisce tante, mille diverse metamorfosi. Attraverso i libri leggo e seguo i ritmi del mondo, della vita, inseguo esistenze sconosciute, osservo società ignote, confronto il passato e il mio presente, conosco le speranze, riattivo la memoria, acquisisco conoscenze, amplio gli orizzonti. E conosco tante persone e tanti personaggi, persone viventi e personaggi immaginari. Storie, pensieri, delusioni. Personaggi e persone che costellano la mente, la riempiono di significati, la saturano di sensi. E affino l’udito, perché un libro insegna soprattutto ad ascoltare, a sentire la risonanza di un verbo, di una parola messa lì, non a caso, ma per calcolata precisione, scritta lì a valutarne gli effetti, ad ampliarne lo spessore, la forza, la potenza, a sentirne il clamore. E ne valuto le sensazioni, le impressioni. Mi suscita immagini, visioni, e, soprattutto, stimola il mio processo di creazione. Mi suggerisce trame, storie da narrare, vite da intrecciare. Altre sensazioni, altre visioni da concretizzare, da coltivare. Da far crescere e maturare, lentamente, senza fretta, da far sedimentare, stratificare nel fondo della coscienza, dimenticarle quando occorre, anche per un tempo lungo, per un lungo tempo, e aspettare che un giorno attraverso cunicoli misteriosi e intrecciati, i casi della vita, che non trovano mai una risposta, una parola o un nome pronunciato, all’improvviso risvegliano visioni seppellite nel profondo pronte ad interagire con un sogno, un incubo, o con il rimosso, con ricordi sopiti, attivando l’azione, il moto di pensieri, la memoria, visioni che plasmino le mie immagini, le mie attese, le mie speranze, e che s’amalgamino con le altre storie, altri vissuti, sino ad intrecciare un trama nuova ed infaticabile. E il tutto viene suggellato compiutamente da un patto antico e rinnovato, tra me e la scrittura, tra l’essere e il poter essere, tra il reale e il possibile, e talvolta persino tra ciò che un tempo credevo impossibile o improbabile.
Sostituendo al termine “palcoscenico”, la parola “libro”, di me potrei dire altrettanto. Sì, è così, è proprio così: soltanto nella dimora di un libro ritrovo la mia dimensione, il mio "spazio domestico", il luogo deputato alla mia esistenza. La mia piacevole e assoluta solitudine. Perché nel libro il mio io si scioglie, e si confonde negli accenti, in quello "spazio domestico" il mio io si perde e perde le sue coordinate, la sua bussola, le sue certezze, la sua compiuta forma e subisce tante, mille diverse metamorfosi. Attraverso i libri leggo e seguo i ritmi del mondo, della vita, inseguo esistenze sconosciute, osservo società ignote, confronto il passato e il mio presente, conosco le speranze, riattivo la memoria, acquisisco conoscenze, amplio gli orizzonti. E conosco tante persone e tanti personaggi, persone viventi e personaggi immaginari. Storie, pensieri, delusioni. Personaggi e persone che costellano la mente, la riempiono di significati, la saturano di sensi. E affino l’udito, perché un libro insegna soprattutto ad ascoltare, a sentire la risonanza di un verbo, di una parola messa lì, non a caso, ma per calcolata precisione, scritta lì a valutarne gli effetti, ad ampliarne lo spessore, la forza, la potenza, a sentirne il clamore. E ne valuto le sensazioni, le impressioni. Mi suscita immagini, visioni, e, soprattutto, stimola il mio processo di creazione. Mi suggerisce trame, storie da narrare, vite da intrecciare. Altre sensazioni, altre visioni da concretizzare, da coltivare. Da far crescere e maturare, lentamente, senza fretta, da far sedimentare, stratificare nel fondo della coscienza, dimenticarle quando occorre, anche per un tempo lungo, per un lungo tempo, e aspettare che un giorno attraverso cunicoli misteriosi e intrecciati, i casi della vita, che non trovano mai una risposta, una parola o un nome pronunciato, all’improvviso risvegliano visioni seppellite nel profondo pronte ad interagire con un sogno, un incubo, o con il rimosso, con ricordi sopiti, attivando l’azione, il moto di pensieri, la memoria, visioni che plasmino le mie immagini, le mie attese, le mie speranze, e che s’amalgamino con le altre storie, altri vissuti, sino ad intrecciare un trama nuova ed infaticabile. E il tutto viene suggellato compiutamente da un patto antico e rinnovato, tra me e la scrittura, tra l’essere e il poter essere, tra il reale e il possibile, e talvolta persino tra ciò che un tempo credevo impossibile o improbabile.
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