martedì 21 gennaio 2020

Scrivo per difetto

Dietro ogni opera poetica vera, autentica, c’è un pensiero robusto. “Opera poetica” in senso lato non nel significato speciale, specialistico. Opera come fondamento vitale di ogni civiltà, ciò che le dà sangue e linfa e che ne accresce le potenzialità, le possibilità di sopravvivere a se stessa. Opera come fili di una ragnatela che giorno dopo costruisce la trama della nostra esistenza, il tessuto dei nostri organi relazionali.

Un’opera priva di pensiero robusto sa accarezzare i sensi, ma lascia indifferente il corpo perché non è in grado di scuoterlo, di emozionarlo, di farlo vibrare, sussultare. Di mantenerlo vivo. Di fargli provare per un attimo un senso di vertigine, di smarrimento. Un senso di vuoto, di assoluta sospensione. Perciò quell'opera scivola via senza lasciare tracce. Aiuta tutt’al più a trascorrere piacevolmente qualche ora. A distogliere per un attimo lo sguardo "altrove". Ma poi finisce lì. Sì, i tuoi versi mi sono piaciuti, il tuo racconto m’è piaciuto, come mi piace bere un bicchiere d’acqua quando ho un po’ d’arsura, ma non mi hanno procurato nessun brivido, mi hanno soltanto procurato un minimo di sollievo. Dilettano ma non fanno riflettere poiché questo non è il loro scopo.
L’opera che ha dietro un pensiero robusto diletta ma allo stesso sa riempire la vita di senso. Pensiero robusto: l’espressione mi piace, perché riesce ad esprimere in modo preciso ciò che intendo dire, cioè un’idea di forza, di vigore, di grande vitalità. Un pensiero capace di superare la contingenza temporale, che sa imporsi in virtù dell’altezza, della sua profondità e larghezza di veduta. Poiché, paradossalmente, un pensiero siffatto è un pensiero “leggero” e trasparente come l’aria, capace di trapassare le fessure della storia, di arrivare nei suoi interstizi, nelle sue cavità più nascoste. Ed è in virtù di tale trasparenza e leggerezza che non si lascia mai afferrare, mai schematizzare, mai imprigionare. E quel pensiero robusto non s’avverte mai alla prima lettura, forse neanche alla seconda o alla terza. Perché si tratta di un pensiero leggero e trasparente che dà l’impressione di svanire, di essere evanescente non appena l’ultimo pensiero sfiorisce nella mente. S’avverte soltanto nel trasecolare del tempo, quando, intorno a quel pensiero, altri pensieri s’addensano, si stratificano. S’infittiscono, si tramano o si tramandano.
La sua densità, la sua intensità s’avverte man mano che ci s’avvezza a quella scrittura, man mano che essa ci diventa familiare, man mano cioè che quella scrittura si fa scrittura apografa, quasi fosse connaturata al nostro essere, quasi fosse diventata la cifra epidermica della nostra vita. Quando s’arriva a tale livello di altezza, allora anche le cose più elementari, più puerili acquistano senso, perché si ha la curiosità di andare alla ricerca delle fonti da cui quel pensiero robusto s’è originato.


19 Agosto 2013

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