Avevo voglia di pubblicare qualcosa di "vecchio", che avesse però degli accenti giovanili! Ed è così che mi sono deciso a pubblicare questo "atipico" romanzo di formazione, Bildungroman! Forse un genere letterario di cui si sono perse le tracce nell'attuale repubblica delle lettere. Ma dai! con tanti guai che il mondo sta attraversando in questo periodo storico ci mettiamo a fare della letteratura? e, addirittura, a scrivere romanzi? Bisogna proprio essere degli insensibili per scrivere cose del genere! Tanto più che, se uno per sbaglio iniziasse a leggere o a sfogliare il mio libro, s'accorgerebbe immediatamente che non ho scritto né un "romanzo" né, tanto meno, un "bildungroman". Anzi, forse ho riscritto...
Diciamo piuttosto che mi sono divertito a fare il verso al romanzo come genere. In questo mio libro, che spaccio come se fosse un romanzo, non c'è né un intreccio né si incontrano dei personaggi e, pertanto, non esiste neanche una trama. Tutto scorre, all'apparenza, come se.... come se fosse un romanzo...
Quando io alla fine scrivo qualcosa di compiuto, composto da una serie di cose incompiute, mi domando sempre cosa in realtà abbia scritto: ho scritto un racconto? ho scritto un saggio? ho scritto un romanzo"? Non lo so neanch'io cosa abbia alla fine scritto! Li chiamo "libri" per comodità, perché alla fine sono comunque degli "oggetti" che posso stringere tra le mani e sfogliare proprio come se fosse un libro. Ma un libro, e a maggior ragione un romanzo, almeno si sa come bisogna leggerlo: dalla prima all'ultima pagina. Di un romanzo, in modo particolare, si dice sempre: "Non riveliamo il finale", altrimenti si perde il gusto della lettura, tutta la sua tensione viene meno! Ecco, dei miei romanzi, o dei miei saggi, forse sono il solo che può dire: leggeteli come vi capita, cominciate dalla fine, dal centro, dalla periferia, da sotto o da sopra, insomma leggeteli come vi pare. Leggete, se vi pare, qualche pagina aperta a caso e se vedete che la mia scrittura vi annoia o che non vi piace, fateci pure un bel falò!
Devo ammetterlo: se il mio eventuale lettore volesse leggere un "mio" libro con lo stesso criterio che usa quando va in libreria a comprare un romanzo "tradizionale", con tanti di capitoli ben disposti e organizzati, di storie e di personaggi, di intrecci, purtroppo, per lui, resterebbe deluso. Ma allora, mi si potrebbe chiedere, di cosa tratta questo tuo bildungroman? In che senso è un romanzo di formazione? Niente equivoci: formare la coscienza del lettore non è affatto il mio mestiere! Si pensa che un romanzo di formazione abbia come suo sviluppo l'"odissea della coscienza", attraverso la quale l'eroe protagonista, superando una serie di ostacoli che ne impediscano la maturazione, arrivi alla fine del processo a prendere piena consapevolezza di sé e del mondo entro il quale si trova immerso. Come si può facilmente intuire, in un romanzo del genere lo svolgimento delle azioni è inevitabile: bisogna partire da uno stato in cui la coscienza è ancora immersa in una sorta di liquido amniotico, in cui nulla ancora lascia presagire il "sol dell'Avvenire", e poi far emergere a poco a poco la singola individualità, sbozzata in ogni sua parte, quale soggetto responsabile di fronte al mondo.
Nel mio "romanzo" di formazione non accade nulla di tutto ciò. Anzitutto, al centro di questa "odissea" non troviamo nessun protagonista, nel senso ordinario del termine. L'unico protagonista di cui si parla è la stessa "scrittura": le sue inquietudini, i suoi tormenti, i suoi dubbi, le sue titubanze. Inquietudini d'uno scrittore da giovane, per un verso vogliono essere un omaggio a Ritratto dell’artista da giovane di James Joyce, una lettura che ha contato molto nella mia formazione giovanile, per un altro sottintendono un richiamo a I turbamenti del giovane Törless di Robert Musil. Al centro della sua "narrazione" ci sono le mie "esperienze scrittorie". Quasi sotto forma d'una scrittura diaristica, in un arco di tempo di dieci anni, attraverso riflessioni, annotazioni di stati d'animo, tentativi di scrivere racconti o saggi, formulazione di poetiche, ecc., si traccia il percorso che la scrittura ha compiuto per fuoruscire da una "prospettiva metafisica" con la quale tuttora si trova a convivere. In questa prospettiva millenaria, la narrazione ha da sempre creduto che il "senso dell'Essere" si trovi "dentro" ciò che accade, vale a dire nel mondo delle esperienze di vita, e che, di conseguenza, a dare senso all'arte sia, appunto, la vita o l'esistenza. Ebbene, ciò che qui viene rovesciato è proprio questo assunto metafisico: nella nuova prospettiva, a dare senso alla vita è l'arte, attraverso le sue creazioni: "Senso" vuol dire soprattutto "valori", "significati", "ordine", "legami", "ragioni di vita", ecc. Quando scrivo "arte" non voglio certo dire "espressione del bello", bensì "arte come creazione di senso". In altri termini, il senso delle cose s'origina dall'arte, attraverso la sua "creatività", il suo fare emergere accostamenti inediti, relazioni inaspettate, insomma "metafore" e "metonimie"!
Ultima considerazione: il romanzo è opera di finzione. Ora nel mio romanzo "atipico" si dice che ciò ho scritto si trovi in vecchie agende, in quaderni logori, su bloc-notes stinti, ecc. Sarà vero, sarà falso? E se in realtà anche questa dichiarazione fosse opera di finzione? Non sarebbe la prima volta che il narratore "finge" di trovare un vecchio manoscritto che poi trascrive dandogli una veste presentabile. Quelle riflessioni, quelle pagine trascritte appartengono davvero ai miei anni giovanili? Sono davvero dei "documenti" che attestino lo sviluppo della mia scrittura? o sono in realtà il prodotto della mia immaginazione? Io, in quanto autore, posso anche dire che sono documenti autentici, scritti davvero nel tempo scandito dalle date. Tuttavia, credere il contrario, penso che sia del tutto legittimo. Si dice che in qualsiasi romanzo confluisca una parte dell'esistenza dell'autore, che ogni romanzo sia una sorta di autobiografia nascosta. Anche questa linea di demarcazione tra ciò che è realmente accaduto e ciò che, invece, è frutto di finzione, bisogna considerarla come una creazione artistica. in pratica, è sempre l'arte che ci fa comprendere cosa sia la realtà e cosa invece la finzione, con buona pace di tutti i metafisici "realisti" dei nostri tempi, ma anche di tutti i tempi.
Ps. Sia detto per inciso, non male questa riflessione di Marcello Fois su Letteratura e inquietudine: l'ho letta dopo aver scritto il mio post. Purtroppo, però, i vari Fois si aspettano che la letteratura che dà origine all'inquietudine si trovi allestita nelle vetrine delle librerie, magari abbellita con degli addobbi natalizi! Forse, è il caso di mettere, qualche volta, il naso fuori dalle librerie. Si soffre un po' il freddo, in questa stagione, ma potrebbe anche valerne la pena.
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