domenica 25 ottobre 2015

Sull'essenza del poetare...



Rainer Maria Rilke
e riconosco i polsi...
Ogni mio minimo movimento lascia
nel serico silenzio un’ impronta visibile;
l’emozione più lieve s’imprime incancellabile
sul teso schermo della lontananza.
Al ritmo del mio respiro si alzano
e abbassano le stelle.
Alle mie labbra s’ abbeverano i profumi
di angeli remoti.
Solo quello che penso: solo Te
non vedo.

R.M. Rilke




La poesia è intessuta di suoni e di pause, ossia di parole e di silenzi. I silenzi mi ricordano le rilkiane finestre, quelle aperture/chiusure dove l’anima s’affaccia per osservare da dentro il “fuori” del mondo, ma sono anche le aperture attraverso le quali l’altro ci osserva “da fuori”, quando ci affacciamo un attimo sul suo davanzale.
La Poesia, a mio parere, rappresenta proprio questa «apertura dialogica», nell’ambito della quale diventa possibile esplorare la «situazione intersoggettiva originaria», costitutiva di ogni essere umano. La poesia sono finestre che lasciano entrare il mondo dentro di sé e, allo stesso tempo, finestre attraverso le quali “raccogliamo” il mondo dentro di noi.
In questo respiro dell’anima, chi legge o chi scrive poesie, ha bisogno di raccoglimento, di essere solo con se stesso, ha bisogno della sua solitudine, ossia proprio nell’intimo sentirsi solo con il proprio ascolto. “Raccoglimento”: è una parola meravigliosa, perché dà perfettamente l’idea di “essere presso di sé”, ossia nel suo proprio elemento di ascolto, dove, appunto, ogni suono e ogni silenzio assume una sua propria dimensione, un suo proprio spessore, ciò che manca nella comunicazione quotidiana, in cui l’eccesso di dire toglie allo stesso dire il suo senso, trasformando il linguaggio in un semplice rumore.
Il linguaggio della poesia come apertura, come una finestra proiettata sul mondo, ma anche come chiusura, quando i rumori assordanti del mondo invadono la nostra anima, la nostra intimità. Forse in questo senso, la poesia si fa custode della nostra anima, preservandola da quello smarrimento totale in cui spesso viene “gettata” nel vortice dell’eccesso comunicazionale.


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