Foto di Jo Pace |
Scrivere versi è come scendere nelle cavità interiori dell’anima,
colmare vuoti, mancanze, assenze: è il nulla che preme sul cuore. Scriveva il Malte di Rilke che “bisognerebbe
aspettare e raccogliere senso e dolcezza per tutta la vita e meglio una lunga
vita, e poi alla fine, forse si riuscirebbe poi a scrivere dieci righe che
fossero buoni. Poiché i versi non sono, come crede la gente, sentimenti (che si
fanno già presto), sono esperienze”. Forse per questo io, in tutta la mia
esistenza, sono riuscito a scrivere soltanto pochi versi.
Ma ancora non ho capito cosa si prova a guardare qualcosa
che sta lontano e che non si può toccare. Perciò la sera, quando ammiro la luna
e le stelle, è il loro silenzio ad attrarmi. Loro non parlano, e a volte mi
sembra che stanno lì soltanto per ascoltare. Chissà quante lingue, accenti e
voci hanno ascoltato nel loro tempo infinito! Voci poetiche e voci disperate! Ma,
purtroppo, non si lasciano mai incantare. Del nostro pianto non si commuovono
né si dolgono. Forse per questo somigliano tanto alle rose, o a tutte le belle
cose!
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