Schopenhauer era convinto che la pesantezza o la leggerezza dei movimenti derivasse dalla diversità delle doti intellettuali. Chi ha un passo pesante, lento, impacciato è uno “zotico”, al contrario, chi ha un passo rapido, leggero, agile è una persona estremamente dotata dal punto di vista intellettuale. In altri termini, la facilità di far scorrere i pensieri con eleganza, precisione, esattezza è direttamente proporzionata alla facilità di far correre le gambe! “Rapidità”, “leggerezza”, “esattezza”: sono i valori che Italo Calvino nelle sue straordinarie Lezioni americane avrebbe voluto salvare nella letteratura del Terzo Millennio! Calvino però li collegava di certo a un modo di camminare, bensì a uno stile di scrittura.
Mi domando allora come camminasse il filosofo Talete prima di cadere nel pozzo, attirandosi lo scherno della “servetta trace” (ossia quanto di più incolta e ignorante potesse esserci per un Elleno!), come si racconta nel platonico Teeteto. È sintomatico, in effetti, che il primo aneddoto della storia della filosofia cominci con una “camminata” sfortunata, con un “inciampo”, potrei dire. Non sappiamo se il primo dei Sette Savi quel giorno camminasse lentamente o rapidamente. Possiamo supporre che per “mirare gli astri” camminasse con il naso rivolto all’insù, procedendo con un’andatura lenta, e dobbiamo escludere che per “mirava gli astri” non dovesse essere né giorno pieno né notte fonda. Probabilmente Talete ammirava la volta celeste all’alba o al tramonto, due momenti ideali della giornata per fare una lunga e piacevole camminata e contemplare il cielo. Tutto dipende da quali fossero le abitudini del filosofo milesio. Non sappiamo neanche se amasse alzarsi all’alba e inaugurare la giornata con una bella camminata, oppure se al mattino preferisse indugiare con la mente prima di levarsi dal letto.
Tuttavia, se questi racconti si sono tramandati nei secoli è perché gli abitanti di Mileto avevano circondato la figura di Talete di un fascino leggendario.
Anche Schopenhauer, intorno alla seconda metà dell’Ottocento, era diventato per gli abitanti di Francoforte una specie di leggenda vivente. Ormai, qualunque francofortese riconosceva l’anziano signore che ogni pomeriggio passeggiava a passo veloce verso il Roderberg o lungo il Meno in frac e cravatta bianca seguito da un cane barbone spagnolo. Ogni tanto lo si vedeva parlare e gesticolare da solo, ma chi lo conosceva un po’ meglio sapeva che in realtà si stava rivolgendo al suo fedele amico, il quale a volte, distratto da qualche altro cagnolino, si dimenticava di tenere il passo del suo padrone e s’attardava un po’.
Anche gli animali, per quanto intelligenti, si lasciano dominare dalla Volontà di vivere, perdendo di vista la “leggerezza dell’Essere”! Cosa che, invece, Schopenhauer tentava di non smarrire mai. Già il camminare con passo rapido e leggero è sintomo di una personalità dalla una natura contemplativa.
La gravità del passo è direttamente proporzionata al peso che gli interessi materiali hanno sulla nostra esistenza: più siamo immersi in problemi terreni più il nostro incedere s’appesantisce. In altri termini, tanto più dipendiamo dai beni terreni, tanto più la vita ci trascina verso il basso. Oppure, quanto più affidiamo le sorti della nostra esistenza alla buona riuscita delle cose terrene tanto più il nostro camminare si fa stanco e pesante!
Ed ecco come si crea il contrasto tra l’anima contemplativa di Talete e l’anima terrena della servetta trace. Il primo osserva i cieli, l’altra osserva il terreno sotto i piedi. Il primo cade distrattamente nel pozzo, la seconda se la ride. Ma il primo non è dominato da uno spirito di gravità! Soltanto un’anima pienamente contemplativa, ossia svincolata dagli interessi terreni, può eludere il dominio della Volontà che lo sovrasta. Chi possiede un’anima siffatta può intrattenersi con le cose del mondo senza valutarne l’utilità o il possesso! Chi è dominato dallo spirito di gravità non può fare a meno di valutare le persone e le cose che lo circondano come mezzi per realizzare i suoi scopi. Le cose ama averle e possederle, anziché ammirarle, e ciò accresce ancora di più la pesantezza del suo essere. Chi invece le cose vuole soprattutto contemplarle si sente sempre gaio e leggero.
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