Sfogliando alcuni commenti sulle pagine dei giornali, noto un’estrema prudenza nel disegnare i futuri scenari politici del nostro paese. Un po’, come dice, per scaramanzia (non vendere la pelle dell’orso prima d’averlo catturato), un po’ perché non vogliono mettere in gioco la loro credibilità, i giornalisti non si pronunciano più di tanto su ciò che accadrà post festum. D’altro canto, i giornali fanno il loro mestiere, danno notizie ed evitano di fare previsioni. A ciò bisogna aggiungere che esiste un inconsapevole atteggiamento hegeliano che vuole gli eventi essere sviscerati dopo che la nottola di Minerva ha preso il volo sul far del crepuscolo. La stessa politologia si limita a spiegare gli scenari dopo che essi si sono configurati.
Ebbene, da parte mia io non ho nessuna credibilità da difendere e nessuna carriera da salvaguardare, non sono né un giornalista né un politologo. Se le mie previsioni domani si riveleranno fallaci non rischio nessun licenziamento. Tutt’al più, chiudo questo blog e mi dedico alle mie letture filosofico-letterarie. Insomma, così come sono apparso allo stesso modo posso scomparire. Anche perché a me d’essere prudente o scaramantico non me ne importa proprio un bel niente. Sono esercizi di stile che lascio volentieri ai cosiddetti “professionisti” del settore, a quelli che con queste cose ci si guadagnano il pane dalla mattina alla sera, a quelli che insomma amano sbizzarrirsi soltanto quando vedono la tavola già bell’e apparecchiata.
Da questo punto di vista, mi sento libero di disegnare i futuri scenari e di mettere alla prova dei fatti degli strumenti d’analisi che non derivano né dalla politologia né dalla sociologia o dalla psicologia, bensì da un nuovo campo di ricerca da me denominato etoanalisi.
È chiaro che non ho la presunzione di azzeccare la previsione al cento per cento, e che un margine d’errore ci possa stare e che i miei stessi strumenti d’analisi devono essere continuamente affinati e precisati nel tempo, ma al di là di questo margine la previsione deve mostrarsi valida. E parlo di previsione non di profezie: la prima configura uno scenario in cui cambiano le modalità di comportamento tra i soggetti in campo, ossia il modo in cui tali soggetti si relazionano e interagiscono tra loro, determinando una sequenza nuova di eventi, la seconda configura un avvenimento specifico che accadrà in un tempo e in luogo determinato. La previsione fornisce le coordinate di uno specifico scenario entro il quale emergeranno nuovi soggetti e nuove modalità d’azione. La profezia, invece, fornisce le coordinate geografiche e temporali dentro le quali si verificherà un determinato fatto.
Se domani, quando gli scenari si saranno configurati in modo netto, constaterò che il quadro della situazione sarà distante da come me l’ero prefigurato, vuol dire che quelle categorie analitiche da me approntate erano del tutto fuori luogo, e a quel punto non mi resta che buttarle nel cestino della spazzatura. Se, invece, come suol dirsi, si verificherà proprio ciò che ho prefigurato, a qualcuno salterà in mente che ho doti da veggente. Meglio rassicurarlo. Niente di tutto questo. Applico un metodo d’analisi che posso sintetizzare in pochi punti:
1) analizza un contesto specifico, individuando gli attori che si muovono sulla scena e le loro specifiche modalità interattive;
2) capto tutti quei segnali che ad altri possono sembrare marginali o insignificanti ai fini della comprensione del contesto stesso così come si va configurando;
3) decifro quei segnali attraverso un codice da me elaborato, composto da un sistema di categorie;
4) la codificazione di questi segnali mi permette di proiettare una sequenza interattiva di eventi disegnando un probabile scenario.
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