Nel Marzo 2013 scrissi questo post: Sfiorirà l’aspirapolvere? Sulla narrativa addomesticata dei nostri tempi: Castaldi, Di Grado, Veladiano, che adesso è possibile leggere in Per un'idea letteraria. Io penso che nonostante siano trascorsi diversi anni, le cose che sostenevo allora in quel post siano tuttora di una attualità lampante (o allarmante):
Che l’aspirapolvere, semplice oggetto d’uso domestico, potesse un giorno aspirare a divenire espressione di tutta una tendenza narrativa ha davvero del miracoloso. Eppure, contro ogni aspettativa, è accaduto proprio ciò. Per verificare la veridicità è sufficiente sfogliare in libreria qualche romanzo e leggere quanto c’è scritto in seconda copertina.
Leggo l’incipit di La fame delle donne di Marosia Castaldi: «Una donna in una casa appartata passava l’aspirapolvere ogni mattina Vedevo nella sua sorte riflessa la mia via Passavo il tempo come lei a pulire e cucinare per la famiglia Avevo una figlia grande che viveva ancora in casa». Come si può notare, andando avanti nella lettura, l’aspirapolvere, passando e ripassando, ha aspirato tutta la punteggiatura! Così il lavoro risulta più pulito e ordinato.
Probabilmente, la figlia grande che viveva ancora in casa si chiama Camelia, la protagonista di Settanta acrilico trenta lana di Viola Di Grado, che anziché tradurre manuali di istruzioni per aspirapolveri, traduce quelli per lavatrici. Comunque si tratta sempre di elettrodomestici. In questo romanzo conosceremo il punto di vista di una figlia, nell’altro, invece, quello di una madre. Se vogliamo avere una descrizione più dettagliata di questa figliola, dobbiamo aprire un terzo romanzo, La vita accanto di Mariapia Veladiano. In realtà, la protagonista di questo romanzo potrebbe essere sia la donna della porta accanto del romanzo della Marosia, quella che passa tutte le mattine l’aspirapolvere in casa, che la figlia della donna che passa il tempo a fotografare i buchi (una donna addomesticata non è tale se non coltiva nella vita almeno un’ossessione). Fatto è che questa figliola è “brutta, è proprio brutta”.
«Rosa è una donna tormentata alla ricerca di sé»: chi mai sarà questa donna tormentata? La ragazza brutta, quella abituata a vivere sempre in punta di piedi, «sul ciglio estremo del mondo»? oppure è la donna raccontata dalla Di Grado, quella che vive con la madre traducendo manuali di istruzioni? Ma potrebbe essere la madre della Castaldi, quella che si tiene la figlia dentro le pareti domestiche.
In fondo, questi diari si somigliano un po’ tutti: quantunque le autrici appartengano ad ambiti regionali distanti, usano più o meno lo stesso linguaggio, gli stessi ritmi narrativi, le stesse ambientazioni domestiche, fanno lo stesso uso addomesticato della scrittura, la usano appunto come un’aspirapolvere, per creare un ambiente domestico pulito e ordinato. Mi chiedo, allora, è possibile fare a meno dell’aspirapolvere? È possibile uscire dalle pareti domestiche e osservare cosa c’è al di là? Oppure non ci resta che rimanere chiusi in queste strutture addomesticate e asfittiche?
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