Potrebbe
essere questo il titolo da dare a un ciclo di lezioni dedicato al modo in cui
taluni narratori e poeti hanno rappresentato e/o descritto la città di Roma.
Una città in genere, e Roma in particolare, non è solo un luogo geografico, ma
soprattutto è, o può rappresentare ed esprimere, un “simbolo”, oppure essere
allegoria di una condizione umana ed esistenziale. Ma la città è anche erlebnis, ossia esperienza vissuta.
Senza dubbio, per il fatto di essere una città carica di storia e di cultura
millenaria, Roma è un simbolo” allo stesso modo in cui è erlebnis.
Credo di
non sbagliarmi se affermo che la città di Roma sia una delle città
caratterizzate da una forte e molteplice connotazione identitaria. Infatti, più
che di una sola Roma bisognerebbe
parlare di tante e diverse Roma. Da
un lato esiste una Roma per ogni epoca storica: c’è la Roma papalina, quella
umbertina, la Roma fascista, la Roma popolare, la Roma impiegatizia, la Roma
delle persecuzioni nazi-fasciste, la Roma delle borgate, la Roma democristiana,
ecc. ecc. Di ciascuna di queste Roma ognuno ha lasciato un suo ritratto, ha
colto taluni aspetti. Dall’altro, c’è una Roma che appartiene alla propria
esperienza, alla propria memoria, al proprio erlebnis, che s’incarnano nel quartiere in cui si è vissuto o si
vive; c’è la Roma della Tuscolana, dei Parioli, della Tiburtina, della
Magliana, di Monteverde, di Pietralata, della Garbatella, di Torpignattara,
ecc.; anche queste sono diverse tra loro, perché diversa è la loro prospettiva,
il loro spazio urbano e la loro architettura. Ma la varietà non finisce qui
perché potremmo parlare anche di una Roma politica, ministeriale, di una Roma
accogliente, di una Roma delle grandi distanze, o di una Roma a dimensione
umana, di una Roma flemmatica, ecc. E persino in ogni singolo vissuto abbiamo
spaccati diversi: la Roma dei miei anni universitari tra piazzale del Verano,
San Lorenzo, Tiburtina e Nomentana, non è uguale alla Roma degli anni della mia
maturità, tra Magliana e Prati.
In quanto
simbolo, allegoria, luogo storico-geografico ed erlebnis, bisogna anche saper individuare e scegliere, tra i tanti
scrittori e poeti che hanno scritto nella loro opera di Roma, coloro che sono
meglio riusciti a incarnare l’“anima” di questa città. Sappiamo che la scelta
non potrà che essere soggettiva, lasciata cioè al gusto e alla sensibilità
dell’interprete. Inoltre, occorre anche saper scegliere l’opera, tra le tante
che un autore ha dedicato a questa città, più significativa.
Per quanto
mi riguarda, potrei scegliere come narratori Luigi Pirandello, Alberto Moravia,
Carlo Emilio Gadda ed Elsa Morante, e, come poeta, Pier Paolo Pasolini. Invece
per quanto concerne le opere, sceglierei, rispettivamente, Il fu Mattia Pascal (1904), Gli
indifferenti (1929), Quer
pasticciaccio brutto de via Merulana (1957), La storia (1974) e Le ceneri
di Gramsci (1957).
Di ciascun
autore si potrebbe, anzitutto, analizzare: i rapporti che lo scrittore/poeta ha
avuto con la città di Roma. Ma della Roma, come luogo storico-geografico, è
possibile narrare in due modi diversi: al presente
o retrospettivamente. Pirandello,
Moravia e Pasolini ne parlano al “presente”.
Le storie raccontate sono
ambientate nel tempo in cui essi vivono. Gadda mette tra sé come autore e le
vicende narrate nel Quer Pasticciaccio un filtro storico:
cronologicamente il romanzo si svolge nel marzo del 1927, ma il tempo in cui lo
redige è tra il 1944 e il 1946, quando i primi capitoli appaiono sulla rivista Letteratura; successivamente,
rimaneggiato e ampliato, verrà pubblicato dall’editore Garzanti nel 1957. Tra i
fatti narrati e l’anno di pubblicazione passano dunque trent’anni. La stessa
distanza necessaria che occorre alla Morante per scrivere e pubblicare il suo
romanzo-fiume La Storia (1974) e il
periodo della guerra in cui è ambientata la vicenda narrata.
La scelta
tra un tempo coevo e un tempo retrospettivo non è priva di implicazioni “etiche”:
nella scelta “retrospettiva” c’è un elemento che non è presente nell’altra
scelta, ossia la “vendetta” o il “risentimento” nei confronti del passato.
Risentimento dovuto a una delusione storica, che, nel caso di Gadda, riguarda
il fascismo degli anni dell’affermazione del regime totalitario, e, nel caso
della Morante, la storia in quanto tale, come sintomo e sviluppo
dell’oppressione degli umili. In Gadda il risentimento e lo spirito di vendetta
ha un bersaglio polemico ben preciso; nella Morante si fa generico e
indistinto.
La scelta
di raccontare la città al presente può essere interpretata, invece, come
sintomo di un bersaglio polemico. Ad esempio, la Roma di Pirandello, abitata da
un mondo di impiegati e burocrati si può leggere in contrapposizione alla Roma
sontuosa e bizantina, celebrata in quegli stessi anni dalla prosa stracarica di
aggettivazioni e metafore di Gabriele D’annunzio. La Roma delle borgate di
Pasolini si contrappone alla Roma degli affari speculativi e democristiana di
quegli anni. Per non parlare della Roma di Moravia, ammalata di noia e
passività, curvata su sé stessa, senza possibilità di riscatto.
Altra
caratteristica che distingue una rappresentazione dall’altra è il punto di
vista di ciascun protagonista: Roma può essere vista con gli occhi di un non
romano o con gli occhi di un romano, o almeno con gli occhi di qualcuno che
anagraficamente sia nato a Roma. L’Adriano Meis di Pirandello è un “non
romano”, come lo è il molisano don Ciccio Ingravallo; ma anche il
personaggio/poeta di Le ceneri di Gramsci
lo è. A Ida Ramundo, vedova Mancuso, la Morante dà origini calabresi. I
personaggi degli Indifferenti di
Moravia non sono affatto caratterizzati dal punto di vista linguistico o
dialettale; parlano e pensano in un italiano corrente, si potrebbe dire. Sono
tutti personaggi “estranei” alla città. O meglio, come Pirandello fa dire ad
Adriano, sono personaggi verso i quali la città prova indifferenza.
Altro elemento caratterizzante le rispettive narrazioni è la precisione
topografica della città. Tranne ne’ Gli
indifferenti di Moravia, i tòpoi
urbani sono particolarmente precisi. Addirittura, in Gadda diventano
“maniacali”; non a caso il titolo del romanzo prende il nome di una strada
romana: via Merulana; e Gadda precisa persino il numero civico (219) del
palazzo dove avviene il fattaccio.
Nessun commento:
Posta un commento