mercoledì 29 aprile 2020

La Roma dei poeti e degli scrittori del Novecento (Pirandello, Gadda, Pasolini)


Potrebbe essere questo il titolo da dare a un ciclo di lezioni dedicato al modo in cui taluni narratori e poeti hanno rappresentato e/o descritto la città di Roma. Una città in genere, e Roma in particolare, non è solo un luogo geografico, ma soprattutto è, o può rappresentare ed esprimere, un “simbolo”, oppure essere allegoria di una condizione umana ed esistenziale. Ma la città è anche erlebnis, ossia esperienza vissuta. Senza dubbio, per il fatto di essere una città carica di storia e di cultura millenaria, Roma è un simbolo” allo stesso modo in cui è erlebnis.

Credo di non sbagliarmi se affermo che la città di Roma sia una delle città caratterizzate da una forte e molteplice connotazione identitaria. Infatti, più che di una sola Roma bisognerebbe parlare di tante e diverse Roma. Da un lato esiste una Roma per ogni epoca storica: c’è la Roma papalina, quella umbertina, la Roma fascista, la Roma popolare, la Roma impiegatizia, la Roma delle persecuzioni nazi-fasciste, la Roma delle borgate, la Roma democristiana, ecc. ecc. Di ciascuna di queste Roma ognuno ha lasciato un suo ritratto, ha colto taluni aspetti. Dall’altro, c’è una Roma che appartiene alla propria esperienza, alla propria memoria, al proprio erlebnis, che s’incarnano nel quartiere in cui si è vissuto o si vive; c’è la Roma della Tuscolana, dei Parioli, della Tiburtina, della Magliana, di Monteverde, di Pietralata, della Garbatella, di Torpignattara, ecc.; anche queste sono diverse tra loro, perché diversa è la loro prospettiva, il loro spazio urbano e la loro architettura. Ma la varietà non finisce qui perché potremmo parlare anche di una Roma politica, ministeriale, di una Roma accogliente, di una Roma delle grandi distanze, o di una Roma a dimensione umana, di una Roma flemmatica, ecc. E persino in ogni singolo vissuto abbiamo spaccati diversi: la Roma dei miei anni universitari tra piazzale del Verano, San Lorenzo, Tiburtina e Nomentana, non è uguale alla Roma degli anni della mia maturità, tra Magliana e Prati.
In quanto simbolo, allegoria, luogo storico-geografico ed erlebnis, bisogna anche saper individuare e scegliere, tra i tanti scrittori e poeti che hanno scritto nella loro opera di Roma, coloro che sono meglio riusciti a incarnare l’“anima” di questa città. Sappiamo che la scelta non potrà che essere soggettiva, lasciata cioè al gusto e alla sensibilità dell’interprete. Inoltre, occorre anche saper scegliere l’opera, tra le tante che un autore ha dedicato a questa città, più significativa.
Per quanto mi riguarda, potrei scegliere come narratori Luigi Pirandello, Alberto Moravia, Carlo Emilio Gadda ed Elsa Morante, e, come poeta, Pier Paolo Pasolini. Invece per quanto concerne le opere, sceglierei, rispettivamente, Il fu Mattia Pascal (1904), Gli indifferenti (1929), Quer pasticciaccio brutto de via Merulana (1957), La storia (1974) e Le ceneri di Gramsci (1957).
Di ciascun autore si potrebbe, anzitutto, analizzare: i rapporti che lo scrittore/poeta ha avuto con la città di Roma. Ma della Roma, come luogo storico-geografico, è possibile narrare in due modi diversi: al presente o retrospettivamente. Pirandello, Moravia e Pasolini ne parlano al “presente”. 

Le storie raccontate sono ambientate nel tempo in cui essi vivono. Gadda mette tra sé come autore e le vicende narrate nel Quer Pasticciaccio un filtro storico: cronologicamente il romanzo si svolge nel marzo del 1927, ma il tempo in cui lo redige è tra il 1944 e il 1946, quando i primi capitoli appaiono sulla rivista Letteratura; successivamente, rimaneggiato e ampliato, verrà pubblicato dall’editore Garzanti nel 1957. Tra i fatti narrati e l’anno di pubblicazione passano dunque trent’anni. La stessa distanza necessaria che occorre alla Morante per scrivere e pubblicare il suo romanzo-fiume La Storia (1974) e il periodo della guerra in cui è ambientata la vicenda narrata.
La scelta tra un tempo coevo e un tempo retrospettivo non è priva di implicazioni “etiche”: nella scelta “retrospettiva” c’è un elemento che non è presente nell’altra scelta, ossia la “vendetta” o il “risentimento” nei confronti del passato. Risentimento dovuto a una delusione storica, che, nel caso di Gadda, riguarda il fascismo degli anni dell’affermazione del regime totalitario, e, nel caso della Morante, la storia in quanto tale, come sintomo e sviluppo dell’oppressione degli umili. In Gadda il risentimento e lo spirito di vendetta ha un bersaglio polemico ben preciso; nella Morante si fa generico e indistinto.
La scelta di raccontare la città al presente può essere interpretata, invece, come sintomo di un bersaglio polemico. Ad esempio, la Roma di Pirandello, abitata da un mondo di impiegati e burocrati si può leggere in contrapposizione alla Roma sontuosa e bizantina, celebrata in quegli stessi anni dalla prosa stracarica di aggettivazioni e metafore di Gabriele D’annunzio. La Roma delle borgate di Pasolini si contrappone alla Roma degli affari speculativi e democristiana di quegli anni. Per non parlare della Roma di Moravia, ammalata di noia e passività, curvata su sé stessa, senza possibilità di riscatto.
Altra caratteristica che distingue una rappresentazione dall’altra è il punto di vista di ciascun protagonista: Roma può essere vista con gli occhi di un non romano o con gli occhi di un romano, o almeno con gli occhi di qualcuno che anagraficamente sia nato a Roma. L’Adriano Meis di Pirandello è un “non romano”, come lo è il molisano don Ciccio Ingravallo; ma anche il personaggio/poeta di Le ceneri di Gramsci lo è. A Ida Ramundo, vedova Mancuso, la Morante dà origini calabresi. I personaggi degli Indifferenti di Moravia non sono affatto caratterizzati dal punto di vista linguistico o dialettale; parlano e pensano in un italiano corrente, si potrebbe dire. Sono tutti personaggi “estranei” alla città. O meglio, come Pirandello fa dire ad Adriano, sono personaggi verso i quali la città prova indifferenza.
Altro elemento caratterizzante le rispettive narrazioni è la precisione topografica della città. Tranne ne’ Gli indifferenti di Moravia, i tòpoi urbani sono particolarmente precisi. Addirittura, in Gadda diventano “maniacali”; non a caso il titolo del romanzo prende il nome di una strada romana: via Merulana; e Gadda precisa persino il numero civico (219) del palazzo dove avviene il fattaccio.

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