venerdì 30 luglio 2021

Contro gli idoli perversi della scuola italiana #brunocorino

 

Contro gli idoli perversi della scuola italiana

Chi avrà un giorno la pazienza di leggere il mio saggio, s'accorgerà che  L’aula vuota di Ernesto Galli della Loggia è stato per me più un pretesto o se vogliamo un’occasione per riflettere su alcuni nodi controversi del sistema scolastico italiano. Diciamo che sono stato sollecitato dalla lettura di questo saggio per mettere a fuoco alcuni temi sulla scuola che mi premevano in maniera particolare.

Soprattutto volevo intrecciare considerazioni storiche generali sulla scuola con esperienze personali, vissute non tanto come docente quanto, invece, come scolaro. Spesse volte nella vita sono andato alla ricerca delle condizioni che possono determinare un insuccesso scolastico, quale una bocciatura o un abbandono. La conclusione alla quale sono giunto è che la mancanza di empatia sia alla base di tanti insuccessi scolastici. L’empatia, secondo me, è la capacità di porsi nei confronti dell’altro in una posizione di ascolto. Essere capaci di ascoltare l’altro, a mio parere vuole dire saper riconoscere l’altro e riconoscersi nell’altro. Senza un reciproco riconoscimento ogni proposta didattica, anche la più stimolante, la più interessante, è destinata a cadere nel vuoto. Se chi insegna non è capace di ascoltare l’altro, secondo me, ha sbagliato “mestiere”.


5 commenti:

Lucrezia ha detto...

Sono perfettamente d'accordo. L'empatia è fondamentale per creare un buon rapporto con il singolo alunno perché chi entra in classe, o meglio il docente che entra in classe, non può assolutamente sperare di usare lo stesso metodo "standard" e "sterile" per ogni alunni, anzi...è qui che entra l'empatia. Bisogna avere la capacità di essere docente con il singolo alunno.
Leggerò il saggio, carissimo Prof. Corino, perché so che ne trarrò tanti buoni consigli per me che sono ancora "novellina" Grazie.
Lucrezia De Rosa

scaglie poetiche ha detto...

Carissima Lucrezia,
ti ringrazio della tua attenzione. In questi giorni sono apparsi degli articoli di giornali sulla scuola, firmati da "grandi" editorialisti (potrei anche dire: i soliti "noti", come Ernesto Galli della Loggia o Angelo Panebianco), che puntano il dito sui cosiddetti "mali" del sistema scolastico individuandoli sempre nella mancanza di meritocrazia e proponendo come una litania la bocciatura come rimedio efficace per fare una scuola di qualità.
Nel mio libro ho cercato di snidare questi "pregiudizi", dimostrando appunto che sono soltanto tali e che la qualità della scuola va ricercata percorrendo ben altre strade!
Grazie e buona estate...

Lucrezia ha detto...

Spero vivamente che la scuola, anzi i docenti, possano avere la giusta "scossa" per cambiare un sistema troppo scolastico. Il cambiamento deve partire dal docente che deve allargare la propria dimensione, deve vedere la scuola a 360° e non come la scatola dove, molte volte, vengono scaricate le proprie frustrazioni mentali.
Entrare in classe vuol dire entrare in contatto con persone vulnerabili che hanno bisogno di bel altro del mero modello standardizzato privo di empatia.
La scuola è cambiata, gli alunni sono cambiati e anche i docenti dovrebbero entrare in questa nuova ottica.
Detto ciò ringrazio te e auguro anche a te una buona estate, la mia lo sarà con un arricchimento in più grazie alla lettura del saggio.

scaglie poetiche ha detto...

Sono d'accordo, Lucrezia: è una questione di "mentalità", vale a dire di "atteggiamento". Ti riporto ciò che ho scritto nell'epilogo di questo saggio perché concorda in pieno con ciò che hai scritto:
"La posizione di ascolto crea un’atmosfera empatica, vale a dire, “un legame emotivo”. Tuttavia, queste capacità non si acquistano in nessun corso di formazione, né possono essere prescritte da una ordinanza ministeriale. Soltanto chi possiede un “istinto pedagogico” comprende cosa vuol dire porsi in una posizione di ascolto. Quando si guarda in faccia uno studente non bisogna vederlo attraverso il programma ministeriale, valutarlo sulla base del suo “rendimento” come se fosse una sorta di “investimento” bancario o calcolare il suo “profitto” come se fosse un’azienda produttiva. Quando si guarda uno studente in faccia bisogna prima di tutto comprendere i suoi disagi esistenziali, i suoi conflitti interiori, i suoi gesti di ribellione che segnalano quei disagi, e talvolta anche il desiderio di essere compreso e di non essere considerato come un numero che compare sopra una pagella a ogni fine anno scolastico. Senza questo legame emotivo o empatico tutto ciò che s’insegna a scuola, tutta la cultura elitaria che secoli di storia hanno prodotto, la bellezza di un verso, di una pagina di storia, di un frammento filosofico o di un teorema di geometria diventano nella mente di chi le riceve cose estranee, vuote, astratte. Cosa vuoi che importi a uno studente che sta attraversando un disagio esistenziale sapere che Guglielmo il Conquistatore abbia vinto la battaglia di Hastings avvenuta in un lontano 1066? Ma se un docente è riuscito a instaurare con quello studente un rapporto empatico, se è riuscito a intercettare con la sua sensibilità pedagogica quel disagio, quello stesso studente comprenderà che se il suo docente è riuscito a creare un filo empatico con lui è proprio perché è riuscito a sua volta a instaurare un rapporto empatico con la storia di Guglielmo il Conquistatore.
Intendo dire se anche per il docente ciò che insegna si presenta come qualcosa di staccato dalla propria esistenza, come una nozione vuota e astratta, come può pretendere poi che siano poi i suoi studenti a prendere interesse a ciò che insegna? Se tra ciò che insegno e la mia esistenza non sono riuscito a creare nessun legame emotivo, se prima di insegnare qualcosa quel qualcosa non ha rappresentato per me un problema, un tormento, una sofferenza, ma anche una fonte di gioia, di diletto, uno stimolo nuovo a modificare la visione delle cose, insomma, se ciò che insegno si risolve in una routine quotidiana, in uno stanca e ripetitiva prassi scolastica, in un noioso processo trasmissivo, mi domando come faccio a pormi in una posizione d’ascolto con l’altro, se non sono in grado né di vederlo né di riconoscerlo? Se la mia cultura umanistica non è stata in grado di insegnarmi cosa vuol dire saper creare un rapporto empatico con l’altro, quella cultura allora non m’è servita a niente, e, sono convinto, continuerà a non servire a niente neanche a chi verrà “forzosamente” impartita".

Lucrezia ha detto...

Grazie!!
Speriamo nel cambiamento mentale.

A mio fratello Vincenzo...

La mia anima serena come luce che penetra nel cosmo non arriva mai a una meta, ma viaggia solitaria in mezzo a tante nebulose planetarie, e ...