sabato 8 febbraio 2020

Prima prova di maturità: Giacomo Leopardi

Da oggi e nei prossimi giorni voglio vedere aumentare il traffico di questo mio blog. Da momento che non mi chiamo Matteo Salvini, per cui non mi basta spararla grossa su uomini e donne, ma soprattutto sulle istituzioni, per vedere impennare il traffico; dal momento che non metto in mostra una bella figliola, magari a gambe aperte, oppure con gonna corta, cortissima, tal da lasciare all’immaginazione il compito di navigare verso i sentieri di una meravigliosa conchiglia color smeraldo; dal momento che non ho visto negli ultimi tempi nessun ufo viaggiare solitario nei cieli bui di Milano; dal momento che non parlo dell’ultimo romanzo intorno a cui tutte le cornacchie della rete starnazzano in coro; allora ho un solo modo per vedere realizzato il mio banale desiderio: vaticinare quale sarà l’autore scelto per il prossimo esame di maturità.
Non che abbia statistiche da esibire, ma fiuto. Sì, cari studenti della rete, il sottoscritto ha fiuto. Allora, della triade Pirandello D’Annunzio Montale, su chi cadrà la scelta? Lo so che molti puntano o si auspicano che la scelta cada sul poeta-vate, ossia su quello che da quando è apparso sulla scena letteraria meglio ha saputo incarnare le frustrazioni dei borghesi piccoli piccoli. Il poeta più scaltro e insincero del nostro panorama letterario.
Invece, il mio fiuto mi dice che questa volta la scelta cadrà su Giacomo Leopardi, il poeta più mal compreso e frainteso di tutta la nostra storia letteraria. Uscirà Leopardi cosicché tutta quella massa di studenti che l’ha appena appena orecchiato a scuola potrà aver modo di sciorinare tutti i luoghi comuni che ha accumulato da quando per la prima volta ha cominciato a capire come funziona l’alfabeto. E così potrà parlare delle sue menomazioni, della sua bruttezza, del fatto che fosse pessimista perché storpio, della sua vita sprecata sui libri, della sua gobba, magari del fatto che non mai conosciuto biblicamente una donna, e che gli piacessero i gelati.
La scelta cadrà dunque sul poeta di Recanati che aveva il dono di conoscerci prima che noi nascessimo. Non che conoscesse di ognuno nome e cognome, bensì che conoscesse la nostra l’indole e i nostri costumi, anzi, no: le usanze, come scriveva Leopardi, perché noi ancora non eravamo una nazione, e quindi non avevamo costumi, ma soltanto usanze e abitudini. Giacché adesso e dopo avervi messo un po’ di strizza, comincerete a dare uno sguardo alla sua vita e alle sue opere, invito a leggere il Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’Italiani, può darsi che qualche luogo comune intorno al massimo pensatore italiano di quest’ultimi due secoli sarete in grado di rimuoverlo.
Mon Dieu! Che cosa ho scritto? il massimo pensatore italiano degli ultimi due secoli? Ma non era un poeta? Certo, e tra i maggiori; ma Leopardi non era soltanto un poeta, era soprattutto una mente che ragionava sulla condizione universale dell’uomo, e ne ragionavo non perché infelice bensì perché uomo anch’egli. D’altro canto, quando vi troverete alla fine del tema, se non riuscite a trovare una conclusione, ricordatevi di questa frase dello Zibaldone [4525]: «Due verità che gli uomini generalmente non crederanno mai: l’una di non saper nulla, l’altra di non esser nulla. Aggiungi la terza, che ha molto dipendenza dalla seconda: di non aver nulla a sperare dopo la morte».

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