A metà degli anni Novanta, Giorgio Gaber cantava ironicamente: “Ma
cos’è la destra, cos’è la sinistra…"
Il cantautore, con il dilagare del berlusconismo nei gangli
vitali della società, avvertiva che qualcosa di nuovo stava emergendo nello
sclerotico panorama politico italiano. E alla maniera che soltanto i grandi
artisti sanno fare, quella sensazione fu immediatamente tradotta in un brano musicale
davvero graffiante. Non ne eravamo coscienti, ma in quegli anni, la politica, come
la religione, si stava secolarizzando. Nel nuovo scenario, come le religioni
istituzionali non si sarebbero più fondate su valori tradizionali socialmente
condivisi e retti da meccanismi consolidati come la tradizione o la memoria
(cfr. G. Filoramo, Che cos’è la religione),
così anche gli schieramenti politici, che per quasi cinquant’anni avevano dominato questo scenario, cominciano a conoscere un lento e inesorabile
processo di smottamento.
Il sociologo americano Peter Berger scriveva che nel nuovo
scenario creato dalla modernità la religione non è più un destino, ma una
scelta e qualcuno parlò di supermarket delle
fedi: determinanti diventano la scelta dei consumatori e il loro “consumo”,
legati al prodotto che maggiormente interessa e non più alla conservazione di
una fede religiosa (Filoramo). La rete, con la nuova agorà creata da Internet,
contribuì fortemente alla diffusione di questo supermarket delle fedi. Lo
spazio virtuale azzerava le memorie culturali delle differenti tradizioni
religiose, e contribuiva a creare dei bazar spirituali dove ognuno poteva
costruirsi la propria personale fede religiosa senza badare alla sua coerenza
interna. La rete rendeva possibile amalgamare pezzi presi da culti religiosi diversi
e distanti per tradizione e memoria, e a originare un proprio culto personale
più corrispondente al latente narcisismo tipico dell’individualismo
contemporaneo. Anche in questo caso, dunque, nacquero “le religioni fai da te”.
Sebbene con qualche ritardo, lo stesso fenomeno si stava
verificando nello scenario politico. Con la differenza che in questo scenario,
rispetto a quello religioso, il mutamento era molto più lento, e, di
conseguenza, meno percepibile a livello sociologico. Le prime categorie a farne
le spese furono proprio la classica distinzione tra “destra” e “sinistra”. Come
è noto questa distinzione nacque durante la Rivoluzione francese e si consolidò
nel corso dei due secoli successivi. Declinate in modi diversi queste parole avevano un significato preciso: dichiararsi di destra o di sinistra implicava e
significava avere comportamenti e fare scelte ben definite. Il sistema di valori, di
partecipazione, di riflessioni, al quale ciascuno si richiamava, per definire
la sua appartenenza politica, era distinto e inequivocabile. Essere di destra o
essere di sinistra, dichiararsi nell’uno o nell’altro “campo”, significava
soprattutto contrapporre a uno “stile di vita” un “altro” stile di vita. Al di
là, dunque, di come questo “stile di vita” si traduceva a livello
elettoralistico, ciò che è importante segnalare era la diversa concezione e
pratica del mondo che tale stile implicava.
Le analisi politologiche, ancorate ai loro tradizionali
metodi di indagine, quando parlano di “crisi della politica” che investì la
società italiana negli anni Novanta, fanno riferimento al mutato quadro
internazionale, al mancato rinnovamento del sistema dei partiti, e al logoramento
del rapporto elettori-partiti. Anche all’attuale crisi di rigetto del sistema
dei partiti, che stiamo vivendo in questi mesi, viene data una lettura “etica”,
traducendola in un moto di indignazione verso quelli che sono considerati gli
sprechi e le sacche di privilegi della classe politica. Voglio dire, a questa
crisi si dà una lettura tutta interna al sistema dei partiti e della
rappresentanza politica. In realtà, a mio parere la crisi è molto più profonda,
e la stessa intolleranza mostrata nei confronti della rappresentanza politica è
soltanto un sintomo di un disagio più profondo. Una delle cause di questo
disagio è da rintracciare proprio nel fatto che non è più possibile praticare
uno “stile di vita” espressione di una appartenenza politica ben
identificabile. Gli stili di vita politica si costruiscono con segmenti sparsi
e ripresi ora da questa ora da quella concezione politica senza affatto badare
al valore della coerenza, della unitarietà e della coesione interna. Si tratta
di stili “ibridi”, composti da segmenti diversi e opposti. Ad esempio, sull’azione
sindacale si può avere un atteggiamento favorevole, mentre si può essere
liberisti nell’azione economica, intolleranti nei confronti dell’immigrazione,
indifferenti alla partecipazione politica, votare ora dall’una ora dall’altra parte,
o non votare affatto, nella vita privata si può essere autoritari, permissivi
nelle istituzioni pubbliche, invocare leggi severe nei confronti di certi
fenomeni devianti ed essere allo stesso tempo irrispettosi nei confronti dei
beni pubblici, ecc.
Ecco che diventa difficile definire, come cantava Gaber, “cos’è la destra, che cos’è la sinistra”. Anche la politica, in senso lato, diventa un supermarket, dove ognuno mette nel suo carrello il prodotto che più gli piace, senza più badare né alla tradizione né alla memoria storica dalla quale quel prodotto proviene. Allora non mi sorprende vedere un giovane che si dichiara di “destra” andare in giro con la maglietta del “Che”…, in fondo quell’immagine non ha più né storia né valore, e un “rivoluzionario” che diventa un semplice “ribelle” della società dei consumi, quantunque non perderà occasione per comprare l’iPad ultima generazione…
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